Misurare l’acidità del mosto: perchè e come..
Dato che in molti mi hanno chiesto lumi in merito, e come avevo promesso in un altro post, ho deciso di scrivere un piccolo articolo che possa spiegare in modo semplice i motivi per cui un homebrewer dovrebbe sempre misurare il PH del proprio mash, e di come lo si possa fare utilizzando uno strumento abbastanza economico e piuttosto preciso.
A qualcuno, la misurazione dell’acidità del mosto potrà sembrare un’esagerazione a livello di birrificazione casalinga, ma in realtà, questo piccolo accorgimento, molto più spesso di quanto si possa pensare, fa la differenza tra il raggiungimento dell’efficenza prevista o no…
Prima di ogni altra cosa, cerchiamo di capire perchè è necessario conoscere, e se è il caso, intervenire sull’acidità del nostro mash:
Molti sono i fattori per cui bisognerebbe sempre controllare il PH del mash, e molti sono strettamente tecnici, e io non ho le necessarie cognizioni di chimica per addentrarmi nei dettagli tecnici delle azioni enzimatiche, per le nostre necessità di homebrewer, ci basta sapere che: Il pH è un valore che indica la basicità o l’acidità dell’acqua (le grandezze vanno da 0 a 7 per l’acidità e da 7 a 14 per la basicità, Il valore intermedio 7 rappresenta una soluzione neutra), un modo molto semplice per rappresentare (e capire..) come si misura il PH è la scala colorimetrica:
Solitamente, l’acqua di rete in Italia è a PH neutro, cioè ha un valore pari a PH7, ma cerchiamo di capire perchè questo valore non è quello “ideale” per i nostri scopi:
Quando effettuiamo il mash con i suoi step di temperatura e tempo, attiviamo tutta una serie di processi enzimatici che servono ad estrarre dal’impasto di grani gli zuccheri e gli enzimi di cui si nutrirà il lievito durante la fermentazione, nel dettaglio, e a puro scopo informativo li elencherò qui sotto:
Enzimi proteolitici | Enzimi diastasici | |
-Endopeptidasi: pH optimum 5.0 (40-50°C ) -Carbopeptidasi: pH optimum 5.2 (50-60°C -Dipeptidasi: pH optimum 8.2 (40-45°C) -Aminopeptidasi: pH optimum 7.2 (40-45°C) |
-Beta-Amilasi: pH optimum 5.4 – 5.6 ( 60-65°C ) -Alpha-Amilasi: pH optimum 5.6 – 5.8 ( 70-75°C) |
Come si può notare, tutti questi processi hanno una temperatura ed un PH “ideale” a cui svilupparsi, e probabilmente sarebbe improponibile riuscire a rispettarli tutti alla lettera in ambito casalingo, e in fondo, a noi homebrewers, i processi che ci interessano maggiormente sono 2: Beta-Amilasi e Alpha-Amilasi, quindi, tralascerei ulteriori approfondimenti tecnici, e direi di cominciare interessarci alla parte pratica della questione…
Il valore del PH ideale affinché gli enzimi compiano adeguatamente il proprio lavoro è compreso tra PH 5.2 e 5.5, e sempre al fine della miglior produzione possibile, bisogna anche considerare che mantenendo il livello del pH del mosto a valori prossimi a 5.5, andremo anche a creare un ambiente favorevole per l’estrazione e la lavorazione del luppolo durante la bollitura, e per il disgregamento e la precipitazione delle proteine, con la conseguente miglior chiarificazione del mosto; e, cosa da non sottovalutare mai, con il PH adeguato, avremo una maggior produzione di sostanze che favoriranno lo sviluppo e il lavoro dei lieviti durante la fermentazione. Mi pare che ci siano molti motivi per non trascurare questo “dettaglio”…
E dopo aver “semplicisticamente descritto” quali sono i processi di cui dobbiamo tenere conto quanto birrifichiamo e qual’è l’ambiente ideale in cui si sviluppano, riassumiamo quali sono gli effetti pratici che il loro rispetto apporta alla nostra birra:
Effetti sul mosto |
Effetti sulla fermentazione |
Effetti sulla birra finita | ||
-Miglior degradazione proteica, che ci da una maggior limpidezza del prodotto finito -Colori del mosto bollito e rendimento delle sostanze amare (isomerizzazione) più coerente con le previsioni dei vari software |
-Contenuto di zinco piú alto, che porta ad una migliore performance di fermentazione ed a birre con gusti più “rotondi” -Un elevato contenuto di polifenoli, che ci da un migliore sapore e una migliore stabilità dello stesso. – Un’acidità del mosto piú elevata, accelera l’abbassamento del pH durante la fermentazione e quindi migliora la stabilità microbiologica |
-Birre con valori di pH pari o inferiori a 4,4 hanno una maggiore stabilità della schiuma e un miglior mantenimento del “cappello” rispetto a quelli con valori di 4.5 e superiori. -Le birre brassate in ambiente acido “ideale”, risultano più “piacevoli” e “fresche”, e più “digeribili” e “bilanciate”, e con toni d’amaro più raffinati |
Stabilite le motivazioni “chimiche” e “pratiche” per cui un “homebrewer attento ai dettagli” ha bisogno di controllare i livelli di ph del mash (in quanto influenzano l’attività degli enzimi nell’intero processo e in particolare l’attività delle amilasi, che sono le principali responsabili del “mashing”, cioè la trasformazione degli amidi del malto in zuccheri fermentabili, che durante la fermentazione permetteranno al lievito di produrre alcol e CO2…), risulta chiaro che la creazione di un’acidità ambientale ottimale deve essere uno degli obbiettivi da raggiungere per ottenere la massima efficenza del nostro impianto e la maggor qualità possibile nel prodotto finito, a questo punto non ci resta che vedere come fare…
Anni fa, dopo essermi approciato alla birrificazione “All-Grain” ed avere acquisito sufficente esperienza, come tutti, cominciai a cercare “i punti deboli” della mia tecnica per migliorarli; persone ben più ferrate di me sull’argomento, mi suggerirono di cominciare a modificare l’acqua e l’acidità ambientale per ottenere efficenze e prodotti migliori, così cominciai a documentarmi sull’argomento, e ad applicare alle mie produzioni ciò che avevo imparato sulla “chimica della birrificazione“, riscontrando sin da subito miglioramenti nell’efficenza del processo e nella qualità del prodotto finito.
Gli inizi delle mie esperienze di “piccolo chimico dell’acqua di mash“, furono abbastanza “empirici”, il suggerimento più semplicistico che posso darvi se volete prendere in considerazione la modifica del PH del vostro mosto, e cominciare a sperimentare le differenze con un mash non “acidificato” prima di investire nell’acquisto di un PHmetro e nei prodotti per la modifica del PH (io uso dell’acido lattico, ma va bene anche quello citrico), è lo stesso che diedero a me: provate a spremere un mezzo limone nell’acqua (in un batch da 23 litri finiti..) prima di gettare i grani di malto, vi garantisco che noterete subito le differenze in efficenza e limpidezza (sopratutto se fate basse fermentazioni), ovviamente non bisognerà esagerare con l’acidificazione del mash spremendoci dentro un sacco di limone, e bisognerà tenere conto che il malto che andremo ad usare, abbasserà naturamente il PH dell’acqua, dato che ha una sua acidità latente e vi sono anche malti che sono prodotti appositamente per questo scopo, come questo: http://www.birramia.it/malto-in-grani-sauermalz-malto-acido-1-kg-weyermann.html#.WADB6yRJPeo.
Ma come ho detto sopra, quello del “limone” è un modo empirico o “spannometrico” per acidificare l’acqua, con un pò di pratica si può ottenere una buona approssimazione anche senza un PHmetro, usando delle economiche “Cartine di Tornasole“, che ho utilizzato anche io (ma mai in modo realmente soddisfacente..) prima di dotarmi di uno strumento di misura elettronico.
Il loro impiego è semplice: si depositano alcune goccie di mosto sulla cartina, si osserva la variazione di colore, e la si confronta con la scala colorimetrica, francamente le trovavo imprecise e non riuscivo a determinare i valori “decimali” del PH, ma ci sono persone che le usano con soddisfazione, quindi non mi sento di sconsigliarle a priori.
Con il passare del tempo e con l’acquisizione di esperienza, e visto che la correzione dell’acidità del mash dava i suoi frutti, per incrementare l’insoddisfacente precisione della misura del PH ottenuta tramite le cartine di Tornasole, sono passato a dei PHmetri elettronici; ne ho cambiati parecchi, anche perchè ho sempre comprato modelli piuttosto “economici” tipo questi, di sicuro sono abbastanza basilari come strumenti, e la misura del PH va effettuata sempre a 20°C, quindi per effettuarla bisogna prelevare una piccola quantità di mosto e raffreddarlo, ma nonostante l’uso un pochetto laborioso, hanno sempre funzionato in modo più che dignitoso per le necessità di precisione di un homebrewer, ma hanno un difetto di base: l’elettrodo è fisso e non sostituibile, e alla lunga si danneggia, nonostante li abbia sempre tenuti “umidificati” con il liquido di conservazione apposito.
Quindi, stufo di dover cambiare strumento, ho optato per l’acquisto un nuovo modello un: ADWA Ad12 PH/C, che è più costoso dei precedenti modelli, ma presenta anche degli indubbi vantaggi:
- Ha la correzione automatica della misura del PH in relazione alla temperatura
- Ha l’elettrodo sostituibile
- È tarabile senza il bisogno di interventi “meccanici” (in quelli “cinesi” la taratura veniva effettuata con una vite)
- A “pelle” sembra uno strumento decisamente fatto meglio rispetto a quelli precedenti
- È un termometro molto preciso (L’ho verificato con il mio termometro a gabbia, che è uno strumento da laboratorio)
L’ho usato solo per una cotta, ma non mi ha deluso, la misura è rapida e con la correzione automatica della temperatura si può effettuare direttamente nel mash, senza dover prelevare del mosto e raffreddarlo, che è una comodità da non sottovalutare.
Ma veniamo allo “strumento”: prodotto dalla ADWA Instruments e totalmente realizzato in materiale plastico, è completamente “waterproof” e funziona con “batterie a bottone”,l’elettrodo è intercambiabile e arriva ben protetto in una confezione di cartone, che contiene il libretto delle istruzioni (in inglese) abbastanza esaustivo e dettagliato e 2 bustine di soluzione per tararlo (da usare per una futura taratura, lo strumento arriva già ben calibrato dalla fabbrica); sin dal primo contatto si percepisce la qualità costruttiva superiore a quella dei “cinesini economici” (nonostante anch’esso sia realizzato in Cina..), le misure vengono effettuate in modo rapido e semplice, grazie alla correzione automatica della misura in rapporto alla temperatura, basta immergere l’elettrodo nel mosto qualche minuto dopo il mash-in per ottenere una immediata lettura del PH, ed effettuare le dovute correzioni dell’acidità in modo semplice ed immediato; l’elettrodo è contenuto nella punta dello strumento, ed è montato sul corpo dello stesso con un semplice filetto, che lo rende facilmente smontabile e/o sostituibile; ovviamente in commercio ci sono gli elettrodi di ricambio che dovrebbero garantirne una “vita operativa” più lunga, e che sono sinonimo di “strumento di qualità”, la sua manutenzione e conservazione, è identica a quella dei cinesini, cioè: dopo l’uso va pulito con una soluzione adeguata, e l’elettrodo va conservato “umidificato” con un’altra apposita soluzione, che sono operazioni da effettuare SEMPRE ad ogni utilizzo, pena: il disseccamento dell’elettrodo e il suo danneggiamento..
Se durerà sarà stato sicuramente un buon acquisto, ma sono fiducioso in merito, data la qualità percepibile dallo strumento e dai feedback che si trovano in rete sul suo uso e comportamento, sicuramente lo consiglio a tutti quegli homebrewers che vogliono “evolvere” e rendere piu efficente e sofisticato il proprio processo di birrificazione.
P.S:
Appena lo avrò editato, pubblicherò il filmato sull’utilizzo dello strumento durante l’ultima cotta effettuata
ciao a distanza di un anno, come ti trovi con l’adwa?
ciao, siccome non so se ti è arrivato il commento, lo riposto per sicurezza. A distanza di 1 anno come ti trvi con l’adwa?
Scusa il ritardo nella risposta, ma wordpress aveva deciso di classificare la tua domanda come “spam”,,,
Comunque, parlando dell’ADWA, devo dire che a distanza di un anno, continua a funzionare impeccabilmente, un paio di cotte fa, per scrupolo, ho provato a rifare la taratura con le soluzioni apposite, ma era ancora perfetta…
C’è da dire che l’ho conservato bene, sciacquando l’elettrodo a fine utilizzo e consercvandolo con il liquido preposto, comunque, visto il prezzo pagato non posso lamentarmi